La condivisione della conoscenza nel Web2.0
Che noi tutti stiamo vivendo in un pianeta interconnesso, con buona page di Jeremy Rifking, fortunatamente lo abbiamo capito; quello che ancora dobbiamo approfondire in merito all’interconnessione ed i suoi sviluppi, riguarda le possibilità per le aziende di sviluppare il proprio business attraverso canali inconsueti. Internet e telefonia mobile hanno impresso una svolta epocale ai modelli lavorativi, non solo introducendo la delocalizzazione ma facendo emergere molte dinamiche nascoste, permettendo la riduzione dei crocevia decisionali, migliorando la distribuzione delle informazioni sulla cui base, ogni giorno, vengono prese decisioni strategiche, vagliati progetti, date indicazioni ai mercati.
La precisione e la profondità dell’informazione sono punti cruciale che coinvolgono l’organizzazione e la struttura interna delle aziende e tra chi sta utilizzando questi nuovi “spazi collaborativi” non mancano i big.
Harley-Davidson ha applicato le strategie collaborative del web, chiamando a raccolta gli owner group ed avere input per ridisegnare lo sviluppo dei propri prodotti. IBM ha coinvolto oltre 150.000 persone in uno dei suoi InnovationJam, una sorta di grande brainstorming a partecipazione allargata, che ha prodotto circa 46.000 idee. L’investimento di 100 milioni di dollari in 10 di queste idee ha generato fatturati per oltre 500 milioni in due anni.
Collegare interi sistemi apparentemente lontani è uno dei vantaggi che l’era del Web2.0 ci sta portando. La Pfizer, azienda farmaceutica ed in quanto tale solitamente avvezza alla condivisione dei progetti, ha fatto appello a diverse comunità di esperti esterni, partners di ricerca e non ultimo, coinvolgendo anche i dipendenti, per realizzare progetti che negli ultimi anni gli hanno consentito di raccogliere opportunità di business per 100 milioni di dollari.
La forza motrice, il volano di queste nuove attività collaborative sono (oltre ai manager tecnologizzati ed internettiani) le giovani generazioni di utenti aziendali, figli del social networking e del digitale la cui familiarità con il mondo del web li spinge a richiedere strumenti e tecnologie che consentano lo scambio e la collaborazione, strumenti simili a quelli che già utilizzano. Uno di questi è il wiki, un sito web aziendale interno ma anche non, che ha come imperativo la collaborazione; tutti possono e devono partecipare alla realizzazione dei contenuti, inserendo nuove voci, ampliando gli argomenti, inserendo approfondimenti. Uno strumento per la creazione di una base di conoscenza comune e per la condivisione del sapere (Knowledge Management) e che consente ad ogni dipendente di mettere il proprio sapere, l’esperienza ed il Know-how a disposizione di tutti.
L’introduzione di questo strumento, dato il successo che sta ottenendo, ha dato vita alla creazione di diversi tipi di wiki, personalizzati ed adattati ai singoli progetti di sviluppo a cui accedono singoli gruppi nelle varie fasi del processo.
E nel prossimo futuro è in arrivo Wave di Google, il sistema per ridefinire la collaborazione in azienda, creando “onde” di posta elettronica, chat, calendari e tutto il resto e dovrebbe rivelarsi un ottimo strumento per le piccole imprese che devono gestire e coordinare gruppi anche molto lontani tra loro.
Il vero maestro è il consumatore
Partiamo da una serie di articoli che ci inducono ad una profonda riflessione. Secondo Amit Agarwal di Digital Inspiration, la tradizionale formula del banner o del contextual advertising (tipo AdSense per intenderci) non funzionano molto bene all’interno dei social news site, così le aziende come Facebook e Digg stanno sperimentando delle vie alternative per far giungere i messaggi pubblicitari ai target di riferimento senza però annoiare questi ultimi. C’è poi un articolo del magazine Revolution che indica come negli UK il 68% degli utenti internet ritiene affidabili le informazioni e le opinioni dei consumatori messe online, mentre solo il 58% dichiara di confidare nelle informazioni che trovano nei siti ufficiali dei brand. Sempre in questo articolo c’è un riferimento ad Harris Interactive che evidenzia come negli Stati Uniti il 46% dei navigatori della rete dicano di ignorare la pubblicità dei banner e che solo l’1% ritenga quest’ultima di aiuto nel determinare la scelta di acquisto. Un recente studio Nielsen dice ” Le raccomandazioni e le opinioni postate on line rappresentano la forma di pubblicità a cui più credono gli internauti di tutto il mondo“.
Quindi, tutto ciò mette in chiara difficoltà advertisers e pubblisher che affrontano quotidianamente il web. Sembra che non riescano a venirne a capo. La pubblicità sul web non rende quanto la TV, la radio o la carta stampata? Non credo sia questo il problema, credo sia invece un problema di forma e di modello comunicazione. Intanto facciamo chiarezza rispetto alla resa dell’ADV on line. Perché sembra rendere meno? Semplicemente perché è misurabile. Per la prima volta è possibile monitorare quanto siano veramente efficaci la nostra campagna pubblicitaria e la nostra comunicazione ed il tutto quasi in tempo reale, cosa che non si è mai potuto (o non voluto) fare con gli altri media, data la difficoltà nel reperire ed organizzare i dati di feedback. Un famoso pubblicitario disse che le loro campagne funzionavano solitamente al 50%, ma sapeva quale della metà funzionavano? Probabilmente no visto che la misurazione nel marketing è sempre stata latitante, almeno sino all’avvento del web.
Le organizzazioni stanno cercando nuove vie per fare pubblicità ? Forse dovrebbero usare meglio la loro comunicazione!
Molti marketer sono convinti di poter gestire il consumatore come se stessero addestrando cavalli, al cavallo si danno ordini ben precisi e lui esegue, si tira la briglia e lui gira a destra o a sinistra a seconda dei nostri desideri. Questo è un modello di fare marketing che non funziona più sia nella rete che fuori.
Per avere successo è necessario un cambio di mentalità . Cominciamo a pensare a noi stessi non come maestri ma come apprendisti. Il vero maestro è il consumatore e dobbiamo comprenderne bisogni ed aspettative adesso ed aiutarlo nel trovare le giuste risposte ai suoi quesiti. Nel web in particolare il consumatore è determinato e risolutivo, diretto ed orientato all’azione. Pensiamo a lui come ad un navigatore solitario in cerca della giusta rotta per giungere a destinazione. Il nostro compito è aiutarlo a trovare le coordinate corrette ed indirizzarlo per la via sicura tenendolo al largo dalle intemperie, dai monsoni e dai forti venti di maestrale. Solo così possiamo pensare di condurlo sano e salvo in porto.
Rifare il look al sito web è sempre necessario?
Vi siete mai annoiati navigando su Google, oppure su Amazon o ancora su Yahoo o Facebook. Forse vi ha annoiato l’ultimo libro acquistato online o forse il vostro amico che vi ha costretto ad una lunga chat inutilmente. Recentemente Facebook ha rinnovato il look del sito e probabilmente alcuni di voi hanno esultato “finalmente” altri lo hanno fatto di meno; ad ogni modo dopo il lancio del re-design Google ha rilevato che al 94% degli iscritti alla più grande community del mondo, il nuovo look non è piaciuto. Probabilmente il cambio era stato studiato nel migliore dei modi, ma nel progettarlo, forse, non si è tenuto conto del fatto che gli utilizzatori erano “abituati” ad usare lo strumento in un determinato modo e che non era loro intenzione modificare le proprie abitudini. Specie nell’uso “ergonomico” dei menù, i cui movimenti abitudinari ma certificati vengono consolidati, per capirci e come se da domani tutti ci trovassimo ad avere invertiti il pedale del freno e della frizione nelle proprie auto, sarebbe un bel caos no? Non ne saremmo molto contenti…
Spesso le aziende vogliono fare dei cambiamenti molto più dei loro clienti. Ma perché lo vogliono? Probabilmente per molte ragioni, ma quando parliamo di un sito web credo sia semplicemente perché ci sta annoiando, siamo stanchi di guardare da oltre due anni le stesse “pagine” e pensiamo che tutti lo siano. Ridisegnare un sito web è divertente, ci sentiamo creativi e lanciati verso nuove mete, le agenzie ci adorano e probabilmente ci stanno già sottoponendo il nuovo lay-out. Fermi tutti. Siamo proprio sicuri che sia necessario?
La maggior parte dei navigatori che si affacciano sul vostro sito si possono definire “impazienti”, sono lì proprio per compiere un’azione e lo vogliono fare nel più breve tempo possibile, perché mai dovremmo rendere la loro vita più difficile?
Probabilmente qualcuno vi ha detto che il vostro sito va ridisegnato, che non è alla moda che non segue i trend, probabilmente questa persona lavora per un’agenzia di web design? Quelli tra noi che pensano che un sito web debba assolutamente essere eccitante non credo abbiano le idee molto chiare.
L’off-line marketing è “raccogliere attenzione”. Il web marketing è “prestare attenzione”. E questa è una differenza fondamentale. Se presti attenzione al tuo cliente navigatore sai che il miglior successo per il tuo sito web è portare il tuo cliente a compiere il suo “task” velocemente.
Quindi prima di ridisegnare il tuo sito accertati del feedback di chi lo naviga, chiedi loro cosa ne pensano e quali sono i miglioramenti che vorrebbero introdurre e poi passa all’azione.
PS: Quanto sopra vale sicuramente, ma sempre che il tuo sito non sia esteticamente proprio “terrificante”…
Fare marketing con i Social Network
Cambia il modo di relazionarsi e cambiano le abitudine degli uomini. I social media hanno aggiunto un elemento “partecipativo” della relazione: l’individuo non riceve solamente le informazioni, ma ha la possibilità di prendere parte alla creazione e alla distribuzione dei contenuti. Quindi i social media costituiscono un nuovo modo per capire l’interazione dei singoli utenti con i contenuti dei brand e ciò avviene attraverso publisher online, social network, blog ed applicazioni.
I consumatori che sostengono un brand, diventandone amici o registrandosi per seguirne gli sviluppi, permettono di convalidare il lavoro dei marketer e attivare la distribuzione virale dei loro brand nei diversi canali. Il luogo dello scambio “sociale†non è un luogo fisico, se non raramente, ma la sincronia di emozioni, scambi di idee, di impressioni e di ricordi affidata alla tecnologia ed al suo straordinario potere di mediazione.
Oltre la metà degli utenti Facebook non sono studenti ed il gruppo che negli ultimi mesi cresce con il maggior ritmo è quello che supera i trent’anni di età . Per le nuove generazioni i social network rappresentano un’innovativa forma di interazione e di costruzione di nuove relazioni, o presunte tali. Per le generazioni “mature†la nuova tecnologia ha in larga parte favorito la riattivazione di relazioni sociali passate, di contatti ibernati, dimenticati o rimasti inattivi per lungo tempo. Così, Facebook funziona per molti come una vera e propria macchina del tempo. Vecchi compagni, colleghi, amici, vicini di casa e semplici conoscenti si ritrovano scambiando immagini e ricordi del passato.
Linkedin è diventato il riferimento per il mondo del lavoro, dove manager, consulenti, professionisti, fanno network per trovare nuove occasioni, sinergie e sbocchi professionali, ma anche nuove opportunità per fare business.
Twitter viene usato spesso in affiancamento ai call center ed è divenuto un canale di relazione primario nell’assistenza ai clienti.
YouTube oltre ad essere un canale per la diffusione di filmati è anche un ottimo supporto alle attività di marketing che un’azienda può attivare sia per la diffusione del prodotto che per valorizzazione del brand.
Dal punto di vista delle imprese, sappiamo con buona certezza che le reti sociali rappresentano potenti canali di influenza e cambiamento nei comportamenti sociali e, di conseguenza, anche dei comportamenti di consumo. Le reti sociali hanno uno straordinario potenziale di contagio e diffusione di “modelli†di consumo.
Di conseguenza il Social Networking è diventato un ambito di sperimentazione importante per il marketing a cui le aziende, al passo con i tempi, non possono sottrarsi.
Inoltre, e non è certo una cosa secondaria, se usati in maniera corretta ed assidua rappresentano una via low-cost per dare servizi e raccogliere importanti informazioni sui trends di mercato, feedback di prodotto, sulla percezione del brand e sui consumatori, sono cioè un canale diretto e continuo di input fondamentali per la crescita delle imprese.
Ultima nota, per le aziende è un impegno da non prendere assolutamente sotto gamba. Partecipare al “Network” significa investire tempo, risorse e “voglia di comunicare” ed una volta iniziato il percorso, abbandonarlo significa aver fallito… e questo al mercato non piace molto.
Semplificare la complessità del web
Una delle decisioni più importanti nel web management è quella di pensare “minimalista” cioè considerare il proprio sito ed il suo contenuto come un prodotto che si può costantemente migliorare specie nel renderlo “meno complesso”. Bisogna ridurre costantemente la complessità in favore della semplicità e quindi di una facile lettura, di un facile approccio e di una navigazione semplice.
Per Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, la semplificazione è una delle chiavi per il successo e non solo nel web. I consumatori che amano la semplicità sono la maggior parte, ciò non significa che dobbiamo trascurare chi ha voglia di maggior informazione e di approfondimento rispetto ad un prodotto, ad un servizio o ad tema, dobbiamo dedicare a loro lo spazio necessario ma mettendolo in secondo piano in una o più zone dedicate e comunque sempre dopo averle semplificate.
Questo libera spazio nelle pagine web per consentire al sito di ottenere ariosità ed equilibrio tra aree pieni ed aree vuote e quindi facilitare enormemente il navigatore nella lettura e nella comprensione dei vari argomenti. Quanto più siamo chiari, precisi e sintetici tanto più chi ci legge potrà capirci.
La difficoltà nel semplificare e quindi nel togliere delle parti (testo, immagini o altro) è spesso dovuta alle persone che non gradiscono ad esempio che siano tolte specifiche tecniche o parti testuali a cui hanno dedicato parecchio tempo per la loro realizzazione. Spesso siamo talmente certi che le nostre informazioni siano strettamente necessarie che perdiamo di vista il loro effettivo valore e quanto siano gradite o meno da clienti e navigatori del nostro sito.
La semplicità richiede un grande impegno, volontà e sforzi comuni. Molte organizzazioni non si rendono conto di quanto posso essere efficace e dare maggiori risultati applicarla e forse anche per questo abbiamo tanta complessità .
Social Network: il marketing oggi
FACEBOOK è sicuramente il social network più diffuso nell’intero globo e sicuramente un’opportunità per fare marketing per molte, anzi moltissime aziende, dalle big alle piccole, ma anche per negozianti, commercianti, artigiani e quanti vogliano sperimentare il web per incontrare il mercato. Molti imprenditori e manager hanno già dato una “virata” al loro modo di intendere il marketing puntando sulla peculiarità dei social network per raggiungere il marcato target; sfruttando le modalità comunicative tipiche dei social network le aziende possono entrare in contatto diretto con i consumatori, coinvolgendoli maggiormente e facendoli partecipare in prima persona alla vita del brand.
I budget aziendali ora includono anche la voce “Social Network” e nello specifico gli investimenti si dirigono in maggior parte su Facebook ma anche su Linkedin e Twitter. L’attenzione da parte delle imprese ai fenomeni web è più che giustificata, dato che i risultati ottenuti.
Dopo l’acquisto il consumatore stabilisce una profonda connessione con il brand attraverso i nuovi media attualmente disponibili online e che tecnicamente definiamo “touch point” e cioè social network, forum, blog, ecc. Ad esempio, più del 60% dei consumatori di prodotti per la cura del viso conducono online una personale ricerca sul prodotto dopo averlo comprato (quindi non solo prima) per condividerne l’esperienza d’uso.
Quando un consumatore è contento del suo acquisto ne sostiene la causa e se nel passato era il passaparola a convogliare l’informazione, ora il passaparola è mediatico, velocissimo, diretto, passa per Internet, anche se il nome tecnico è sempre “word of mouth”. Questo consente di condividere un pannello di valutazioni, impressioni e suggerimenti con gli altri consumatori oltre che apportare forza ed energia positiva al brand.
Ovviamente se il consumatore non è contento del prodotto, quello che accade in negativo ha la stessa identica capacità penetrativa e quindi potenzialmente può nuocere gravemente all’immagine del brand. Ma se il link (legame esperienziale con il prodotto) è buono e sufficientemente forte, quello che ne scaturisce è un loop molto proficuo ed interessante: Mi piace, Lo sostengo, Lo ri-compro!
Web Marketing in Azienda con successo
Da anni incontro aziende, manager, imprenditori, per diffondere la cultura del web nelle imprese e con l’obiettivo di far comprendere l’importanza della rete per il business e per lo sviluppo del mercato.
Oggi, con tutti i nuovi media a disposizione, pensare al web marketing può far venire il mal di testa, specie a quelle aziende che sono ancora acerbe in materia. Il mio scopo non è quello di creare professionisti del settore, piuttosto quello di rendere aziende e manager consapevoli dando loro le giuste informazioni e le conoscenze necessarie per affrontare il web marketing con sicurezza e chiarezza.
Il successo dipende molto da come le aziende affrontano il web ed affidare il proprio successo a mani libere e senza controllo ad un’agenzia, ad un web designer o ad un grafico non è la cosa giusta da fare. Se conosci il web sai come affrontarlo, l’obiettivo non è diventare degli specialisti ma sapere le cose che servono per dialogare con gli operatori del settore e far si che questi siano veramente al servizio dell’azienda.
Ancora recentemente, in due città di diverse regioni, mi si sono presentate le stesse situazioni, appena comincio ad illustrare come deve essere fatto un sito web, spiego cosa sono leparole chiave, cosa vuol direottimizzare il sito per i motori di ricerca, mi rendo conto che le aziende ne sanno pochissimo e che spesso sono preda di “personaggi” delle agenzie, designer od altro che si limitano a fare un sito come se fosse una brochure, non danno informazioni su cosa vuol dire una corretta presenza in Internet od ancora peggio pseudo professionisti del settore che creano siti web usando applicazioni scaricate dal web e che rivendono ai clienti dei semplici template (modelli già pronti).
Il web non è semplice ma sapere come funziona consente alle aziende di progettare, pianificare e dominare la propria presenza in rete.
Fare marketing con il web consente di ottenere degli ottimi risultati commerciali e questo è innegabile, ma per farlo occorre che l’azienda si impegni e che affronti i vari aspetti che coinvolgono il mondo internet con la consapevolezza che oggi sia uno strumento indispensabile, strategico e che va usato con cognizione e preparazione.Tutto deve essere sotto controllo e nulla lasciato al caso o in mani poco avvezze, di mezzo c’è l’azienda, la sua immagine che viene vista nel mondo, la sua reputazione.
Per questo è estremamente necessario definire le strategie di comunicazione, le modalità di intervento, la presenza ed i media da utilizzare che non sono pochi: sito, newsletter, mailing, motori di ricerca, Pay x Click, Facebook, Linkedin, Twitter, altri Social Network, Fedd RSS, Blogs, YouTube.
OK, un passo alla volta ma facciamolo bene mi raccomando…
Marketing con Facebook – Kellogg’s case
Fare marketing con Facebook, veramente un’occasione o tempo perso?
Sono innumerevoli le case history che possiamo leggere di aziende che stanno costruendo il proprio successo anche grazie ad un social network come Facebook. Che si tratti di una grande azienda, di una media impresa o di un negozio di erboristeria, Facebook è sempre un ottimo media marketing garantito! Oserei dire, passatemi questo “teorema”, meglio investire qui piuttosto che disperdere le poche risorse ora disponibili per il marketing per altre vie, o quanto meno nel nostro budget consideriamo attentamente i social network.
Questa volta parliamo di come Kellogg’s, per il lancio del nuovo marchio di cereali Krave abbia sfruttato Facebook, ed in particolare le inserzioni con video, l’opzione “Mi piace” e i sondaggi, per raggiungere i suoi destinatari più ambiti, ovvero le persone di età compresa tra 18 e 24 anni. Grazie ai “reach block”, Kellogg’s è inoltre riuscita a raggiungere il 100% del pubblico di destinazione nel giro di 24 ore.
Cosa possiamo imparare?
Obiettivo di Kellogg’s quello di promuovere la conoscenza di un nuovo prodotto presso il target di riferimento diretto. Guidare l’aggancio con il consumatore, creare dei fans all’interno dello spazio social media.
All’interno della piattaforma Facebook questo ha creato un notevole impatto per quanto riguarda la brand awareness del prodotto.
L’incremento della brand awareness si è tradotto in un incremento degli acquisti offline, cioè presso il punto vendita, dato che le persone che sono state “esposte” all’ADV su Facebook sono state felici (dati di ricerca) di comprare il nuovo prodotto e provarlo.
Le PMI ed il WEB: paura e amore per un media estremamente strategico
E’ indubbio che oggi si stia vivendo un momento di trasformazione del mercato il cui processo ha avuto origine già qualche anno addietro. Come spesso capita però, solo chi ha avuto buon orecchio (aziende) si è attivato cercando di seguire o ancor meglio cavalcare l’onda della rivoluzione internettiana. Quindi occorre ripensare il marketing.
Un nuovo movimento di persone il cui credo è l’informazione sopra ogni cosa, informazione allargata, partecipata, diffusa e soprattutto condivisa, si è dato appuntamento on line.
Mentre alcune aziende si muovono come dinosauri sul cammino dell’estinzione, il mondo è in fibrillazione chiedendosi quali saranno i nuovi orizzonti, i nuovi mercati, le nuove speranze; così alcuni imprenditori si interrogano ancora rispetto al proprio prodotto/servizio ed alle sue qualità intrinseche mentre altri li stanno già scavalcando offrendo lo stesso prodotto/servizio dialogando on line. Ecco dunque: la relazione con il cliente, il marketing one to one, il precision marketing, il web! Quante paure? Quali pregiudizi? Quale “ignoranza”? Diciamo la verità : sebbene se ne parli da molto ed in maniera concreta e documentata, c’è ancora chi ha paura di internet.
Molti dirigenti con la sindrome conclamata per la “cadrega” piuttosto che affrontare il web, tendono a relegarlo a media di riserva o ad ultima alternativa invece di prenderlo per quello che realmente rappresenta: una grande opportunità per le aziende. Un esempio lampante? 4 anni fa durante una mia consulenza presso una PMI italiana ben affermata e con un prodotto di eccellenza, sollevai le problematiche inerenti il sito web e le opportunità che un buon utilizzo dello strumento internet avrebbe portato nel corso degli anni a venire… inutile dire che l’imprenditore mi rispose che “già c’erano le fiere, le riviste, e poi che internet non sarebbe mai esploso, ecc, ecc…”. Proprio la scorsa settimana sono stato interpellato dall’azienda in questione con la seguente prefazione” ci siamo accorti che on line ci sono i nostri concorrenti, si trovano i prodotti di altre aziende, altri che rivendono il nostro prodotto,…il nostro sito non si trova, nei motori di ricerca non siamo presenti, dobbiamo fare assolutamente qualche cosa, devi aiutarci,…”
Quante PMI si trovano nella stessa situazione? Ma la questione non è quante è piuttosto sul come si debba intervenire. Il mago di Oz, pur con tutta la sua magia e volontà , ben poco potrà fare rispetto ad un mondo che non è retto dalla possibilità economica ma dalla effettiva capacità comunicativa delle aziende. Recuperare il terreno perso on line non è un fattore economico ma una strategia frutto di una politica imprenditoriale ben precisa, seguita da un’operatività concreta e ben indirizzata, da una grande capacità comunicativa e da molta, molta pazienza… purtroppo non si può comprare il posizionamento nei motori di ricerca (se non pagando le sponsorizzazioni che sono comunque ben evidenti e che i navigatori riconoscono in quanto tali), nemmeno se voi foste l’uomo più ricco del mondo il vostro sito potrebbe trovarsi primo in graduatoria se non ne avesse i requisiti. Dunque RIPENSARE IL MARKETING e rivedere i modelli comunicativi utilizzati, rivedere gli investimenti e ridefinire gli obiettivi seguendo una politica commerciale rivolta alla personalizzazione ed alla individuazione di un bisogno piuttosto che alla mera somministrazione di un prodotto/servizio.
IN PRIMIS: ridefinire gli investimenti marketing
Oggi non si parla di maggior investimento nella comunicazione marketing ma di riallocazione delle somme budgettate, cioè della riassegnazione delle capacità di investimento delle aziende rispetto ai media disponibili, e se quelli tradizionali segneranno il passo è indubbio che in internet si avrà invece un’ulteriore crescita, una grande crescita, così come dimostrato in questi ultimi anni. Se questo è valido per le grandi aziende lo è ancor di più per le PMI italiane che si trovano a fronteggiare un mercato agguerrito, accanito e scaltro. Un mercato relativamente giovane nato nello stesso momento in cui è nata internet, cioè con gli stessi modelli comunicativi, non essendo figlio di una tradizione secolare e consolidata, non vivendo sullo slancio della capacità imprenditoriale di genitori, zii e prozii ma sulla capacità di ascolto del mercato e sulle modalità comunicative dei modelli relazionali.
Ripensare il marketing dunque o per altri pensare il marketing, dato che per anni l’attenzione degli imprenditori e soprattutto delle PMI si è rivolta esclusivamente a modelli produttivi e non a ponderazioni sul valore del brand, sulla brand image, sui modelli comunicativi, sulla relazione con il cliente o sulla costruzione di un percorso di evoluzione programmatica in funzione del mercato e delle sue aspettative/richieste. La capacità di dialogare con il mercato tipica del modello internettiano delle imprese, non è una passeggiata ma piuttosto un sentiero impervio, ricco di scenari ed atmosfere che a volte assumono dettagli imprevisti ed impensati, un panorama accecante ma nello stesso tempo appagante, ripido e poi in discesa, che solo le aziende con grande capacità di ascolto, flessibilità mentale e grande operatività sapranno cogliere in tutte le sfumature disponibili, traendone vantaggi e soddisfazioni, ritorni di immagine, affermazione nel mercato target ed interesse da parte di quello prospect.
Non è il prodotto/servizio a fare la differenza ma la relazione.
Nella prima parte di questo articolo, ripensare il marketing, si sono evidenziate le diverse modalità di approccio al web delle imprese italiane e come ancora ci si trovi davanti ad aziende hightech (quindi in grande confidenza con il media Internet) ed aziende lowtech (cioè ancora poco avvezze all’utilizzo di un media strategico come il web).
Il fermento di questi ultimi mesi però mi induce a pensare che finalmente la maggior parte delle PMI si stia accorgendo che non salire sul treno della rete si può rivelare un film drammatico per il futuro delle imprese; questa fretta che possiamo anche assimilare all’ansia da risultato porta però a prendere decisioni troppo avventate o comunque poco ponderate che si tramutano poi nella progettazione e nella realizzazione di siti che si rivelano, rispetto al sistema internet, come strumenti poco idonei alla realizzazione di una corretta politica di marketing web. Si pensa ancora che il sito sia solo una mera vetrina o comunque uno strumento che non serve a vendere, e non c’è nulla di più sbagliato. Affrontare il web con superficialità o con poca conoscenza del media porta alla dispersione delle risorse ed al raggiungimento di scarsi risultati rispetto alle aspettative; di contro un’analisi approfondita relativamente alle modalità comunicative, ai sistemi di ottimizzazione dei siti web, all’utilizzo ed alla presenza strategica nei motori di ricerca, consente, come dimostrano numerosi studi in merito, il conseguimento di eccellenti risultati.
Quindi il pensiero, ancora prima che ad una visualizzazione grafica del sito, va alla definizione di una precisa e concreta strategia di comunicazione web atta ad ottenere ed instaurare una consolidata e duratura relazione con il target di riferimento. Oggi conosciamo tutto rispetto a prodotti/servizi, non ci sono segreti, non esistono listini che possano rimanere riservati; il mercato è quindi alla ricerca di qualcosa di differente, che sia distintivo, caratteristico, che dimostri stile e coerenza, trasparenza ed accessibilità , che consenta un dialogo real time e che ci faccia sentire partecipi e coinvolti emotivamente: il mercato cerca la relazione. Bisogna che tutto il sistema azienda sia proiettato alla creazione di una ragnatela relazionale condivisa ed inserita adeguatamente nelle prassi e nelle modalità operative, essendo consci che solo partendo da una profonda conoscenza del mercato, dei clienti acquisiti e dei prospect, si possa affrontare il futuro con personalità e caratteristiche distintive.
La gestione della informazioni e la capacità di analisi rispetto a quanto emerge durante “la relazione” consente l’ottimizzazione del rapporto prodotto/cliente e di instaurare un clima di fiducia e di affetto verso la marca che oggi, molto più di quanto si possa credere, si rivela determinante. Ma la relazione è qualche cosa di più profondo di un semplice scambio di informazioni di primo livello, sottintende la capacità di operare attraverso l’ottica del Precision Marketing ( Marketing di precisione, cioè mirato espressamente ad un piccolo segmento del target di riferimento) ed al rapporto One2One (uno ad uno, considerando il mercato come sistema di singole persone uniche ed irripetibili, assimilabili si a micro segmenti, ma sempre e comunque persone). Il web consente di attivare un sistema relazionale profondo, concreto ed estremamente importante. Le grandi aziende lo hanno intuito e lo stanno applicando; le PMI ci stanno arrivando, alcune con passi da sprinter altre ancora non hanno sentito il colpo dello starter. Gli strumenti ci sono, il media è perfetto (anche se perfettibile), il mercato è pronto; mancano, in alcuni casi, la visione rispetto a quanto ottenibile attraverso il web, la volontà di approfondire l’argomento o, e questo è ancor più grave, la capacità imprenditoriale di mettersi in discussione. Affrontare il mercato a viso aperto significa mostrare il fianco, i propri pregi e le proprie debolezze, ma è proprio questo che il mercato vuole, trasparenza, dignità ed umiltà .
Davanti a queste modalità comunicative la relazione prende vita, si scalda, diventa costruttiva, partecipe, consente alle imprese di migliorarsi ed ai clienti di ottenere un prodotto/servizio sempre più “tagliato a misura” modello “drop” per intenderci. Il sito web, le news letter, la precisione e-mail marketing, i form per il dialogo con il cliente, i forum, i gruppi di interesse… quante sono le possibilità di incontrare il proprio mercato? Lascio a voi la riflessione in merito. Prima di chiudere questo articolo desidero però aprire un’altra porta del corridoio internettiano: Non si può prescindere dal fatto che oggi la maggior parte degli acquisti effettuati off line (cioè acquisti non fatti in internet ma nei negozi o nei luoghi deputati al B2B) sia guidato ed influenzato da internet.
Modelli comunicativi nel marketing di relazione
Per un corretto approccio relazionale (e quindi nel pieno rispetto del marketing di relazione) è indispensabile perdere quelle forme comunicative tipiche di una certa letteratura industriale ed imprenditoriale che nata negli anni 70 si protrae mestamente, in molti casi, ancora sino ad oggi. In pratica è necessario smettere quelle forme espressive stereotipate che appaiono nelle presentazioni così come nelle brochures, nei siti web ma anche nelle offerte commerciali, in cui si tende a parlare in terza persona della propria azienda o di se stessi, espressioni come:
L’ AZIENDA XXXX ha fatto….; La XXXX è nata,… offre… annovera….; La XXX è lieta di, ecc..
o ancora espressioni come:
L’AZIENDA XXX di cui rappresento, ecc; I prodotti dell’ Azienda XXXX
O ancora, consentitemi il riferimento iconografico semplicistico ma esemplificativo, l’uso di immagini che costituiscono vere e proprie barriere comunicative, che allontanano invece di avvicinare e che il mercato rifiuta con un semplice “non ne possiamo più di foto di grandi capannoni visti dall’alto senz’anima ne corpo… “
Queste forme comunicative contribuiscono ad allontanare le aziende dal mercato target che d’altro canto presta attenzione a chi utilizza modalità molto più dirette, ammira chi ha la capacità di mettersi in gioco in prima persona e da ascolto a quelle aziende che dicono†IO SONO, questa è la mia storia, questo sono io con le mie persone†(storytelling) ; aziende che semplicemente utilizzano un linguaggio one to one. Non un linguaggio misero o spoglio, ne troppo sintetico o schematico, piuttosto una sorta di narrazione epistolare (letteraria, così come si scrive ad un amico), qualche cosa che abbia la capacità di attrarre l’attenzione, che ci faccia sentire partecipi e capire che dall’altra parte ci sono persone come noi, uguali a noi, che possono relazionarsi ed entrare in empatia. Forse il primo passo è proprio quello di togliersi di dosso una certa sacralità imprenditoriale, ricordarsi che le aziende sono fatte di persone e come tali dovrebbero agire e comunicare; certo, persone che utilizzano un modello comunicativo univoco, coerente, strategico anche, ma che parlano un linguaggio diretto e mirano all’anima ed al cuore di chi è in ascolto. “Se credo in quello che faccio allora posso anche comunicarlo e se ciò richiede uno sforzo, a volte faticosissimo, per trovare le parole giuste, la ricompensa sarà equa“.
Ed allora andrebbero totalmente riviste pagine e pagine di comunicazione aziendale, rifatte presentazioni ed offerte commerciali, ripensate le modalità ed i modelli comunicativi? SI CERTO!
Se il mercato si è evoluto non lo è stato solo per quello che riguarda il prodotto/servizio ma soprattutto per ciò che concerne i modelli comunicativi ed aggregativi, per gli approcci relazionali e per il senso di appartenenza; ed il sogno o miraggio di molte aziende di diventare l”idolo” del proprio cliente può prendere vita solo con l’attivazione o la riattivazione di una comunicazione spontanea, personale, pura e semplice.
Tutto questo ha però una prerogativa: essere assolutamente trasparenti con il proprio mercato target e non sempre lo vogliamo essere...